«Una pista si fa così: si prende un versante della montagna che viene disboscato se è un bosco, spietrato se è una pietraia, prosciugato se è un acquitrino; i torrenti vengono deviati o incanalati, le rocce fatte saltare, i buchi riempiti di terra; e si va avanti a scavare, estirpare e spianare finché quel versante della montagna assomiglia soltanto a uno scivolo dritto e senza ostacoli. Poi lo scivolo va innevato, perché è ormai impossibile affrontare l’inverno senza neve artificiale: a monte della pista viene scavato un enorme bacino, riempito con l’acqua dei torrenti d’alta quota e con quella dei fiumi pompata dal fondovalle, e lungo l’intero pendio vengono posate condutture elettriche e idrauliche, per alimentare i cannoni piantati a bordo pista ogni cento metri. Intanto decine di blocchi di cemento vengono interrati; nei blocchi conficcati piloni e tra un pilone e l’altro tirati cavi d’acciaio; all’inizio e alla fine del cavo costruite stazioni di partenza e d’arrivo dotate di motori: questa è la funivia. Mancano solo i bar e i ristoranti lungo il percorso, e una strada per servire tutto quanto. I camion e le ruspe e i fuoristrada. (…) Chi non mi crede o pensa che io stia esagerando faccia un giro intorno al Monte Rosa in estate: sciolta la neve artificiale le piste sembrano autostrade dai perenni cantieri, circondate da rottami, edifici obsoleti, ruderi industriali, devastazioni di cui noi stessi malediciamo i padri». L’articolo si chiude con l’invito a chi abita e lavora su quelle montagne a preservarle: «Tra cent’anni la vera ricchezza non saranno le piste che abbiamo costruito, ma la montagna che abbiamo lasciata intatta».
Riprendiamo questo commento di Paolo Cognetti tratto da un articolo di denuncia pubblicato su L’Altramontagna a firma di Giuseppe Mendicino