C’è un gesto semplice, antico, che racchiude in sé il senso più profondo del 25 aprile: camminare. Mettere un piede davanti all’altro, uscire, attraversare un bosco, una città, un sentiero di collina, è un atto di libertà. Il cammino non è solo un movimento fisico, ma una dichiarazione silenziosa: io posso scegliere dove andare.

Il 25 aprile celebriamo la Liberazione dal nazifascismo, ma quel grido di libertà non è rimasto nel passato. È un’eco che ci accompagna ogni giorno, ogni volta che scegliamo di non rassegnarci, ogni volta che prendiamo la strada — anche quella meno battuta. Camminare diventa allora un gesto simbolico potente: un modo per ricordare che la libertà si conquista passo dopo passo, e non è mai davvero scontata.

C’è qualcosa di profondamente partigiano in chi decide di camminare in un mondo che corre. È un atto lento, contrario alla fretta, alla produttività a tutti i costi, al consumo istantaneo. È resistenza. È ascolto. È presenza. In cammino ci si svincola dal rumore di fondo e si torna a sentire: il vento, i pensieri, le storie che i luoghi custodiscono.

Il 25 aprile può essere vissuto anche così, come ogni giorno dell’anno: con una camminata lenta e consapevole, da soli o in compagnia, per riappropriarci del tempo e dello spazio. Per pensare alla libertà non come a una parola da commemorare, ma come a un’esperienza concreta da vivere: quella di scegliere un sentiero, seguire il proprio ritmo, fermarsi a osservare, respirare.

In un’epoca che ci vuole fermi nelle paure o trascinati dalla velocità, camminare è un piccolo atto rivoluzionario. È ricordare che la libertà non è solo quella conquistata con le armi, ma anche quella che coltiviamo ogni giorno, con i nostri gesti più semplici.

E allora camminiamo. Per chi ci ha liberato. Ma anche per liberarci.